Prologo
Era
una notte buia e spaventosa. Le finestre vibravano e il vento ululava forte
contro i rami degli alberi in giardino. Le foglie emettevano suoni sgraziati e
fastidiosi, si staccavano e sbattevano contro i vetri delle finestre e i rami
creavano ombre disumane alle pareti. Ci mancava solo la pioggia, che non
sarebbe tardata ad arrivare non appena il vento avesse placato la sua ira.
Non
riuscivo a dormire, per cui tanto valeva che mi alzassi e scendessi in cucina a
prendere un bicchiere d’acqua. Non faceva freddo, nonostante il vento, ma
decisi comunque di infilare la vestaglia sul pigiama di cotone a fantasia che
mia madre aveva scelto per me. Misi le pantofole e aprii la porta. Nel
corridoio c’era una flebile luce, emessa dal riverbero di un lampione sullo
specchio appeso alla parete e non ci fu bisogno di accendere altre luci.
Avevo
paura del buio. Sembra sciocco ricordarlo adesso, ma dormivo sempre con una
lucina accesa. Proprio non sopportavo di svegliarmi nel cuore della notte e ritrovarmi
completamente al buio. Sembrava quasi che i miei sensi venissero meno. Sentivo
le orecchie tappate, gli occhi persi in un oscuro nulla e mi mancava l’aria.
Comunque
sia decisi di proseguire con quella debole luce e scesi in cucina. Entrai e
accesi la luce. Poi sentii un fruscio sulla guancia sinistra. Mi voltai di
scatto alla finestra, con la paura che qualcuno l’avesse lasciata aperta. Non
volevo ritrovarmi con la cucina inzuppata d’acqua quando sarebbe arrivato il
temporale. Ma la finestra era chiusa. Allora guardai la porta d’ingresso, ed
era chiusa anch’essa. Decisi che me l’ero immaginato. Aprii il frigo, presi
l’acqua e me ne versai un bicchiere. Era quel che ci voleva per la mia gola
secca. Me ne versai un altro e lo portai in camera, appoggiandolo sul comodino.
Mi rimisi sotto le lenzuola e provai a prendere sonno, ma avevo la sgradevole
sensazione di aver tralasciato qualcosa. Non riuscivo a capire cosa e non
riuscivo a capire quando, ma mi sembrava di aver dimenticato di fare qualcosa.
Mi tirai su a sedere, ancora con le coperte sulle gambe e provai a riflettere.
Tutto
era cominciato quando ero scesa in cucina e avevo sentito quel fruscio sulla
guancia. Sembrava il respiro caldo di qualcuno che ti parla proprio vicino
all’orecchio. Un brivido mi percorse la schiena. Non c’era nessuno accanto a me
giù in cucina. Era stupido persino pensarlo, ma non riuscivo a scrollarmi di
dosso la sgradevole sensazione che ci fosse qualcun altro giù con me.
Fu
in quel momento, mentre ero seduta sul letto, che la vidi. Una piccola lucina,
che durò soltanto un attimo. Proveniva dal mio medaglione. Quello antico con la
pietra rossa. Quello di non so quale bis-bisnonna. Avevo distintamente visto la
pietra brillare. La luce proveniva dall’interno del medaglione, ne ero certa.
Mi alzai e andai alla scrivania. Presi il medaglione, certa di essere sul punto
di impazzire. Prima i sussurri, poi le luci. Ci mancavano solo i conigli
parlanti e le visioni del futuro. Mi rigirai lentamente il medaglione tra le
mani ma non accadde nulla. Com’era prevedibile. Cosa volevo che succedesse lì,
di notte, in pigiama, con un vecchio gingillo tra le mani?
Lo
rimisi a posto. Non ero certa che fosse successo niente di quello che mi ero immaginata,
quindi decisi di smetterla con quegli stupidi e inconcludenti pensieri e tornai
a letto. Il vento sembrava essersi calmato, segno che la pioggia stava per
arrivare. Un flash improvviso irruppe dalla finestra e pochi attimi dopo il più
forte tuono che avessi mai sentito mi fece trasalire. Mi coprii la faccia con
le lenzuola, mi raggomitolai su me stessa e finalmente chiusi gli occhi.